Colesterolo alto: in quali condizioni sono necessarie le statine?

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Le statine sono il farmaco più utilizzato per il controllo del colesterolo alto, la domanda su cui vorrei soffermarmi in questo articolo è: “Quando è davvero necessario prenderle?”.

Come dico sempre in questi casi, la risposta giusta è “dipende”. Perché l’eccesso di colesterolo è causato da svariati fattori che vanno sempre valutati nel complesso, prima di procedere alla prescrizione di farmaci.

Le statine sono tutt’oggi considerate farmaci salvavita per la prevenzione delle patologie cardiovascolari. Si tratta di inibitori dell’HMG-CoA reduttasi, ovvero l’enzima responsabile della sintesi del colesterolo a livello epatico.

Queste sostanze, dunque, agiscono bloccando l’azione dell’enzima riducendo i livelli di colesterolo LDL e in parte anche del colesterolo HDL.

Spesso mi capita di accogliere pazienti a cui medici di base e cardiologi hanno prescritto quasi obbligatoriamente le statine. Questa è una tendenza abbastanza diffusa, non appena i numeri del colesterolo – e soltanto quelli – superano i limiti della soglia di sicurezza.

Tuttavia, altrettanto spesso la prescrizione non corrisponde a una valutazione complessiva del rischio cardiovascolare del paziente. Cosa che invece reputo essenziale.

In questo articolo, quindi, vorrei soffermarmi su questi punti in particolare:

  1. In che modo avviene la sintesi del colesterolo;
  2. Qual è la relazione tra Zucchero e Colesterolo;
  3. Come andrebbe valutata la potenziale assunzione di statine.

Per ultimo, un accenno alle strategie nutrizionali più efficaci a tenere sotto controllo l’eccesso di grasso nel sangue.

Cos’è il colesterolo

Il colesterolo è una molecola appartenente alla famiglia dei lipidi, in particolare degli steroli. Si tratta quindi una sostanza grassa presente nel sangue e prodotta in gran parte dall’organismo stesso. In minima parte, invece, proviene dalla nostra alimentazione quotidiana.

Questa molecola lipidica riveste un ruolo importante perché è coinvolta in diversi processi essenziali per la salute dell’organismo, quali:

  • Sintesi della Vitamina D;
  • Formazione della bile;
  • Produzione del coenzima Q10 (un potente antiossidante);
  • Costruzione delle membrane cellulari e regolazione della loro fluidità;
  • Sintesi di estrogeni e testosterone.

Il colesterolo totale deriva dalla somma di colesterolo HDL (High Density Lipoprotein), definito come “colesterolo buono”, e il colesterolo LDL (Low Density Lipoprotein), il cosiddetto “colesterolo cattivo”.

Il rapporto e la differenza tra questi due valori è determinante nell’inquadrare una condizione patologica. I valori di colesterolo considerati sicuri sono:

  • Totale fino a 200 mg/dl;
  • HDL non inferiore a 50 mg/dl;
  • LDL fino a 100mg/dl.

Un colesterolo complessivo ben oltre 200 è indice di un’alterazione della normale omeostasi. Si parla in questo caso di ipercolesterolemia. Ma il valore a cui è necessario prestare attenzione è quello LDL che se alto può accumularsi sulle pareti di arterie e coronarie.

Col tempo l’eccesso di grasso può condizionare la flessibilità e restringerle, impedendo il normale afflusso di sangue al cuore e al cervello.

Ma perché aumenta il colesterolo e, soprattutto, quali rischi comporta per la nostra salute? Lo vedremo nel prossimo paragrafo.

Eccesso di colesterolo, cause e rischi cardiovascolari

Il nostro organismo riesce da solo a regolare i livelli plasmatici di grasso. Un’alterazione di questa omeostasi con conseguente colesterolo altissimo può verificarsi per la presenza di diversi fattori.

Le cause più comuni di colesterolo elevato sono:

  1. Alimentazione con apporto eccessivo di grassi saturi;
  2. Ereditarietà genetica all’ipercolesterolemia;
  3. Eccesso di peso e obesità;
  4. Sedentarietà;
  5. Fumo (che fa diminuire l’HDL);
  6. Età (il livello tende ad aumentare quando si invecchia);
  7. Sesso (nelle donne la menopausa è collegata a un aumento dell’LDL).

Cosa comporta il colesterolo alto? In presenza di elevati livelli di LDL-C protratti nel tempo, aumenta il rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari.

Quando i depositi di grasso nei vasi sanguigni diventano consistenti, infatti, possono formarsi le cosiddette placche arterosclerotiche. L’effetto è duplice: restringimento dei vasi con conseguente irrigidimento e ostruzione del normale afflusso di sangue – e dunque ossigeno – a cuore e cervello.

Queste placche poi sono instabili. Ciò vuol dire che possono rompersi formando dei coaguli di sangue che viaggiano liberamente attraverso i vasi sanguigni. Se troppo grande, un coagulo può comportare anche la completa ostruzione di un vaso sanguigno che, nel caso di una coronaria, può determinare un infarto.

Se, invece, il blocco avviene a livello delle arterie può dare luogo a diverse patologie come embolia polmonare, ictus, ischemia, malattia occlusiva arteriosa periferica, a seconda di dove afferisce il vaso in questione.

Colesterolo cattivo alto: come valutare la cura con le statine

La complessità sia delle cause alla base colesterolo totale alto che delle conseguenze associate a un livello di colesterolo cattivo alto rendono estremamente necessaria una valutazione globale del rischio cardiovascolare prima di valutare una terapia farmacologica a base di statine.

Questa valutazione comprende tutta una serie di esami diagnostici, strumentali ed ematochimici necessari a stabilire quanto sia realmente pericoloso il colesterolo del paziente in esame. Questi esami sono:

  1. Ecocolordoppler tronchi sovraortici (TSA);
  2. Età fertile e menopausa;
  3. Analisi delle frazioni del colesterolo (apolipoproteina a-b – LDL – HDL)
  4. Metabolismo glucidico (insulinemia, emoglobina glicata).

Il TSA è un esame molto utilizzato nella prevenzione delle malattie cardiovascolari perché consente di osservare stato e morfologia delle pareti di giugulare, succlavia e carotide, nonché la funzionalità del flusso sanguigno.

Questo strumento diagnostico è molto importante anche per comprendere se il colesterolo di un paziente – indipendentemente dal valore ematico elevato – è in grado di attaccarsi alle pareti dei vasi sanguigni.

I tronchi sovraortici, infatti, sono i primi ad essere colpiti da lesioni arterosclerotiche (placche) e da stenosi. Se sono completamente liberi significa che molto probabilmente il colesterolo del paziente non è particolarmente incline ad attaccarsi alle pareti vascolari.

Secondo aspetto da considerare, per valutare se un paziente è a rischio o meno, è sapere se è in età fertile o meno, questo ovviamente nel caso di una donna. In età fertile, rispetto alla menopausa, il rischio cardiovascolare è notevolmente più basso perché la produzione di estrogeni ha un effetto protettivo su vasi sanguigni e cuore.

Gli ormoni femminili infatti non regolano soltanto il ciclo mestruale, ma anche la pressione arteriosa, la reattività dei vasi sanguigni e la funzionalità dell’endotelio il tessuto che riveste le pareti vascolari.

Terzo aspetto da considerare è la valutazione delle frazioni del colesterolo, non soltanto HDL e LDL, ma anche le apolipoproteine, proteine in grado di legarsi ai lipidi e dunque deputate a trasportare colesterolo e trigliceridi nel sangue.

Ne esistono due tipi, l’apolipoproteina A (apo A) e l’apolipoproteina B (apo B). La prima trasporta il colesterolo buono, la seconda quello cattivo LDL. Conoscere il rapporto tra queste due è un elemento essenziale per una corretta stratificazione del rischio cardiovascolare.

Quarto punto il metabolismo glucidico. Si tratta di quell’insieme di processi ormonali che servono a tenere sotto controllo l’impiego degli zuccheri nel sangue da parte dell’organismo. Si valuta esaminando i valori di emoglobina glicosilata e dell’insulinemia.

Soprattutto in caso di ereditarietà familiare di diabete, c’è la possibilità che un paziente possa avere delle alterazioni anche di questo metabolismo. Ma che legame c’è con la sintesi del colesterolo? Lo approfondirò meglio nei prossimi paragrafi.

Come avviene la sintesi del colesterolo

La sintesi del colesterolo endogeno dell’organismo umano (circa il 70-80% di quello totale) è l’insieme di una complessa serie di reazioni che avvengono nel fegato e nell’intestino, e che vede la partecipazione di numerosi enzimi.

Tra questi c’è HMG-CoA reduttasi coinvolto nei primi e più importanti passaggi della biosintesi del colesterolo. L’attivazione di questo enzima è strettamente dipendente dall’attività dell’insulina che, dunque, rappresenta la maggiore promotrice di colesterolo a livello epatico.

Un consumo eccessivo di zuccheri (in particolari quelli aggiunti) e carboidrati attraverso la dieta quotidiana contribuisce ad innalzare il livello di glicemia basale, provocando picchi glicemici e iperglicemia.

Un brusco aumento della secrezione di insulina stimola l’enzima HMG-CoA reduttasi a produrre più colesterolo endogeno nel fegato. Ecco perché livelli di insulina alti potrebbero corrispondere anche a elevati livelli di colesterolo.

D’altro lato, troppi zuccheri nel sangue sono anche la causa dell’aumento dell’emoglobina glicosilata o glicata. Si tratta di una particolare forma di emoglobina che si forma dalla reazione della proteina dei globuli rossi deputata al trasporto dell’ossigeno con una quantità eccessiva di glucosio nel sangue.

Livelli elevati di emoglobina glicata rappresentano un campanello d’allarme da non sottovalutare. Indicano, infatti, la possibilità che si sia verificato un processo di glicazione o glicosilazione, ovvero una reazione in cui le molecole di zucchero si attaccano alle pareti dei vasi sanguigni e alle proteine in circolo nel sangue, modificando la struttura e rendendole più appiccicose.

Questo processo può avvenire anche per le lipoproteine LDL agevolando quindi l’accumulo di colesterolo cattivo sulle pareti vasali già di per sé rese più appiccicose.

La gravità dello stato di glicazione di un paziente viene valutato quindi proprio attraverso l’esame dell’emoglobina glicata. Una volta che si forma rimane a livello ematico per tre mesi. Il suo dosaggio quindi consente di conoscere quali sono stati i valori medi della glicemia negli ultimi 90 giorni.

Con un quadro completo che tenga conto di tutti gli elementi descritti, compreso il metabolismo glucidico, sarà possibile individuare la strategia di intervento migliore. In alcuni casi, infatti, potrebbe davvero essere necessario assumere statine, in altri però potrebbe essere sufficiente una adeguata terapia dietetica.

Qual è la corretta alimentazione se soffri di colesterolemia alta

In presenza di colesterolo cattivo alto spesso si tende a credere che possa essere sufficiente eliminare dall’alimentazione quotidiana fonti di grassi saturi e di colesterolo (carne rossa, pesce grasso, uova, burro ecc..).

Non è così. Come abbiamo visto, da un punto di vista nutrizionale, ad incidere maggiormente sull’ipercolesterolemia e sui trigliceridi sono gli zuccheri. Ciò non vuol dire comunque eliminarli completamente dalla dieta, ma tenere sotto stretto controllo l’introito di carboidrati.

Il colesterolo è sintetizzato all’80% a livello del fegato. Significa che ciò che mangiamo contribuisce solo al 20%. L’insulina è coinvolta nell’attivazione dell’enzima HMG-CoA reduttasi e quindi nella biosintesi del colesterolo. Più insulina c’è in circolo, più colesterolo si produce.

Un eccesso di carboidrati e glucidi nella dieta quotidiana, con un inadeguato apporto di proteine, incide negativamente sulla sintesi di colesterolo.

Ecco quindi che il primo intervento da fare è riequilibrare il regime alimentare nell’apporto dei tre macronutrienti essenziali: carboidrati, proteine e lipidi. Una dieta corretta, infatti, potrebbe contribuire ad abbassare i livelli di colesterolo di almeno il 10-15%.

In linea di massima quando si ha l’ipercolesterolemia bisognerebbe mangiare meno grassi saturi a favore di quelli insaturi, più fibre e più omega 3.

Indicazioni queste che si sposano bene anche con la dieta chetogenica. Alcuni studi sugli effetti a lungo termine della chetogenica su pazienti obesi avrebbero dimostrato, ad esempio, che una dieta composta da:

  • 30 g di carboidrati
  •  1 g/kg di proteine ​​di peso corporeo
  • 20% di grassi saturi e 80% di grassi polinsaturi e monoinsaturi

abbia determinato dopo 24 settimane a una riduzione significativa delle molecole LDL e dei trigliceridi, e di un incremento delle molecole HDL, nonché una diminuzione del livello di glucosio nel sangue.

Senza contare che molti dei cibi inclusi nella dieta chetogenica, come avocado, verdure a foglia verde, cacao, frutta secca e semi oleosi, costituiscono dei potenti alleati nella lotta al colesterolo.

Fonti

  • Hussein M Dashti, Thazhumpal C Mathew, Talib Hussein, Sami K Asfar, Abdulla Behbahani, Mousa A Khoursheed, Hilal M Al-Sayer, Yousef Y Bo-Abbas, Naji S Al-Zaid – Long-term effects of a ketogenic diet in obese patients – Exp Clin Cardiol. 2004 Fall;9(3):200-5.