La Dieta Mediterranea è motivo d’orgoglio per il nostro paese, il trionfo della cucina tipica e dei sanissimi ingredienti della tradizione, unica vera via al benessere e alla salute; o così dicono.
Peccato che ormai la nostra dieta di ogni giorno sia decisamente distante dal fantomatico modello iniziale e che gli ingredienti principali, mai citati, siano del tutto dimenticati, assenti ingiustificati dalla nostra tavola e dalle nostre giornate.
Il primo a parlare di Dieta Mediterranea è stato un americano, naturalmente. Il biologo e fisiologo Ancel Keys, visitando l’Italia del sud e altre aree del Mediterraneo negli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, era rimasto colpito da un fatto curioso: gli abitanti di queste zone, specie delle aree rurali, poveri e affamati, presentavano una mortalità molto ridotta a causa di malattie dell’apparato cardiovascolare, mentre nelle aree urbane degli Stati Uniti, dove il benessere regnava e le tavole erano riccamente imbandite, infarti ed ictus erano in continuo, impressionante aumento.
Keys, che aveva già condotto degli studi seminali sul tema del digiuno, il Minnesota Starvation Study è tuttora un classico sul tema, ipotizzò che fosse proprio la dieta uno dei fattori decisivi nel determinare la differente vulnerabilità a certe patologie osservata in queste popolazioni. In particolar modo Keys concentrò la propria attenzione sul consumo di grassi, soprattutto grassi saturi di origine animale, come fattore di rischio determinante per malattie cardiovascolari, individuando nel colesterolo ematico uno degli indicatori principali nella valutazione del rischio.
La Dieta Mediterranea è protagonista nei media, citata e osannata; tuttavia se chiedete a dieci persone diverse cosa sia in effetti questa dieta, cosa si debba effettivamente mettere in tavola per seguirla, riceverete molto probabilmente risposte confuse e molto diverse, con netta prevalenza di pane, pasta e pizza tra le scelte alimentari. La confusione è grande sotto il cielo, e spesso è grande ache tra gli addetti ai lavori. E questo per un motivo molto semplice, riconosciuto anche dagli autori del Seven Country Studies: la Dieta Mediterranea non esiste.
Sul Mediterraneo si affacciano almeno 18 paesi molto diversi tra di loro per storia, cultura, stile di vita, condizione economiche, dieta e tradizioni alimentari, salute. Un elemento comune a queste diverse culture è un diffuso utilizzo di olio extravergine d’oliva come grasso da condimento, un buon consumo di cereali — generalmente integrali — legumi, verdure e frutta.
A seconda dell’area indagata si rilevava un consumo più o meno importante di pesce, latte e derivati, mentre il consumo di carne, specie di carne rossa, è in genere ridotto. In alcune regioni c’è un modesto consumo di vino, del tutto assente in altre. È interessante notare che nel Seven Country Study anche il Giappone è tra le aree con mortalità minore per malattie cardiovascolari, con un’alimentazione che è decisamente diversa dalla Dieta Mediterranea; rimangono alcuni tratti in comune, come un ridotto consumo di grassi saturi ed un elevato consumo di pesce, mentre tipico dell’area è un maggior consumo di soia e derivati, ma l’olio d’oliva è ovviamente sconosciuto.
Appare quindi evidente come sia difficile definire con precisione gli alimenti e le abitudini tipiche di una “vera” Dieta Mediterranea. Negli studi sul tema si utilizzano diversi tipi di indicatori per valutare l’aderenza o meno alla tradizionale Dieta Mediterranea: in pratica si misura il consumo di vari alimenti assegnando punteggi positivi a quelli tipici dell’area Mediterranea e punteggi negativi a quelli considerati non-mediterranei. Un buon consumo di olio extravergine di oliva, legumi, cereali, verdura e frutta sono ovviamente positivi, così come un buon consumo di pesce e un consumo moderato di latte e latticini, mentre hanno valore negativo consumi elevati di carni rosse e grassi di origine animale.
Alla fine vediamo che non si parla di alimenti specifici, con la sola eccezione dell’olio extravergine di oliva, ma di abitudini e di scelte generali che tollerano anche variazioni notevoli, come testimoniato dalle diete decisamente diverse indagate nel Seven Country Study, tanto che, come ebbe a dire l’ottimo Andrea Ghiselli — le cui preziose indicazioni trovate qui — durante un convegno dedicato alla Dieta Mediterranea, è più corretto parlare di Modello Mediterraneo, visto le differenze importanti riscontrate tra i gruppi più virtuosi.
Tuttavia ci sono due “ingredienti” importanti e comuni a tutti i gruppi indagati, purtroppo colpevolmente dimenticati quando si parla di Dieta Mediterranea. Ingredienti determinanti che è assolutamente necessario riportare al centro del nostro stile di vita. Gli ingredienti in questione sono due: attività fisica e convivialità.
I gruppi del Seven Country Study di Italia, Jugoslavia, Grecia e Giappone erano, con poche eccezioni, individuati in aree rurali, aree in cui l’attività fisica giornaliera si manteneva decisamente elevata.
Stiamo parlando di quasi sessanta anni fa, quando il lavoro nei campi era ancora duro e l’abitudine ad utilizzare mezzi non era ancora diffusa, anche nel caso fosse stata possibile.
Siamo di fronte a soggetti che lavoravano duramente e il movimento è elemento determinante per la salute, come indicato in maniera evidente dai risultati dello studio: i soggetti con forte impegno fisico mostravano riduzione del rischio cardiovascolare pari al 38% rispetto ai sedentari, mentre una attività moderata portava a una riduzione del 21%.
I risultati in questione sono stati replicati in una gran numero di altri studi, ma gli entusiasti delle diete preferiscono concentrarsi su dettagli fondamentali come il tipo di grano utilizzato per la mia pizza, l’esatta discendenza genetica del pomodoro con cui condisco la mia pasta, che sia però macinata con rulli in pietra e trafilata in bronzo. Come dire: costruire la casa a partire dal comignolo dimenticandosi delle fondamenta.
La sedentarietà uccide. L’essere umano deve muoversi, essere attivo, usare il proprio corpo ogni volta che sia possibile. Non si tratta di iscriversi in palestra o seguire i corsi dell’ultima folle moda del fitness, si tratta di muoversi, camminare, far lavorare muscoli, cuore e polmoni, non per dimagrire ma per mantenere la macchina in condizioni ottimali, dedicando un poco del proprio tempo a questa attività, con continuità e dedizione. Una volta erano obbligati a farlo, per sopravvivere. Noi abbiamo la fortuna di poterlo fare per libera scelta, approfittiamone.
Immagino sia più consolante sentirsi dire che si è fuori forma per colpa di un qualche ingrediente brutto e cattivo, per colpa delle multinazionali che tramano nell’ombra, perché non ci sono pù i buoni grani di una volta; che tornando a mangiare come nell’età dell’oro, come i nostri nonni, come i nostri lontani antenati dell’Impero Romano o come gli uomini scimmia del Pleistocene tutto si sistemerà, ma, alla luce dei dati disponibili, temo che non sia proprio così.
Il Modello Mediterraneo è stile di vita e alimentazione sicuramente efficace ma il segreto di questa efficacia non sta in questo o quell ingrediente, ma nel quadro complessivo: certo c’è spazio per l’olio d’oliva, per legumi e cereali, per frutta e verdura; e c’è spazio anche per pesce, un poco di latte e yogurt e anche carni bianche e rosse. Ma deve essere lo stile di vita nel suo insieme a cambiare o non avremo risultati.
Si ingrassa anche consumando i prodotti più “sani” del mondo se il consumo è in eccesso, se trascorriamo le nostre giornate seduti, inerti. Frugalità e misura, movimento e attività fisica devono essere parte delle nostre giornate, come era un tempo, sulle sponde del Mediterraneo e di altri mari, se vogliamo ritrovare salute e benessere.
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