Il termine fibromialgia deriva dal latino “fibro” (tessuto connettivo) e dal greco “mio (muscolo) unito ad “algia” (dolore).
Sebbene i primi riferimenti alla sindrome fibromialgica risalgono ai tempi di Ippocrate (400 a.C.), la fibromialgia è stata riconosciuta come patologia reumatica dall’American College of Rheumatology (ACR) solo nel 1990.
La sindrome fibromialgica (FMS) è una patologia caratterizzata dal dolore diffuso e punti dolorabili alla palpazione (tender points). I pazienti affetti da FMS provano affaticamento persistente, disturbi cognitivi o della memoria, disturbi dell’umore, problemi gastrointestinali e disturbi del sonno.
La sindrome fibromialgica sembra colpire dal 2-4% della popolazione generale, con una prevalenza in Italia del 2,2% (1). La FMS è più diffusa nelle donne con un rapporto uomo-donna pari a 3:1. La fibromialgia inizia generalmente in età adulta (età di insorgenza 35-45 anni), ma in alcuni casi si può avere un esordio precoce in età adolescenziale.
La diagnosi di sindrome fibromialgica è esclusivamente clinica, in quanto non ci sono esami strumentali o diagnostici specifici per tale patologia. La diagnosi di FMS può essere posta solo se il paziente ha una storia di dolore diffuso da oltre 3 mesi secondo le seguenti localizzazioni:
Devono inoltre essere presenti almeno 7 o più aree dolenti rilevabili con palpazione digitale denominate tender points (18 tender points, 9 per lato) (2).
Sebbene ad oggi l’eziologia della fibromialgia non sia chiara, tra i fattori coinvolti nella fisiopatologia vi sono:
Diverse evidenze scientifiche mostrano come una dieta sbilanciata sembra contribuire all’esacerbazione della sintomatologia dolorosa nella fibromialgia. Uno studio sui ratti ha infatti dimostrato come la carenza di alcuni nutrienti peggiori i dolori muscolo-scheletrici associati alla fibromialgia.
Nei pazienti affetti da FMS, infatti, si osservano spesso carenze nutrizionali, caratterizzati spesso da bassi livelli sierici di alcuni aminoacidi ramificati (BCAA) come valina, leucina, isoleucina e dell’aminoacido essenziale triptofano (TRP). Quest’ultimo, oltre ad essere coinvolto nella sintesi proteica, è il precursore di due importanti vie metaboliche non proteiche:
La maggior parte del triptofano (ben il 95%) è impiegato, in maniera preferenziale, nella sintesi della chinurenina (KYN). A seguito di ciò, se i livelli sierici del TRP sono troppo bassi, quest’ultimo sarà impiegato totalmente per la sintesi della KYN, riducendo di conseguenza la sua disponibilità per la sintesi di serotonina.
L’enzima che controlla l’ingresso del TRP nella via sintetica della KYN (enzima TDO) è influenzato dagli estrogeni (ormoni femminili). Questa differenza di genere spiegherebbe il motivo per cui la FMS è una patologia prettamente femminile. Nelle donne affette da FMS si osserva una sovrapproduzione di chinerunina.
Quest’ultima oltrepassa la barriera emato-encefalica, dove viene metabolizzata in acido chinolinico dotato di effetti neuro-tossici, pro-infiammatori e ossidanti (ovvero favorisce la produzione di radicali liberi o ROS). L’acido chinolinico riduce la funzionalità energetica della cellula, agendo da Killer verso i mitocondri (centrale energetica cellulare).
Sebbene la fibromialgia è caratterizzata da una certa eterogeneità dei sintomi, il denominatore comune sembra essere il TRP. La sua carenza, oltre a determinare bassi livelli di serotonina e quindi una minore tollerabilità al dolore, determina un’alterazione della barriera intestinale. Il triptofano infatti è essenziale per la rigenerazione della mucosa intestinale e la protezione verso agenti potenzialmente patogeni.
Un deficit di TRP sembra quindi predisporre a patologie intestinali infiammatorie come la sindrome del colon irritabile o IBS spesso riscontrata nei pazienti affetti da fibromialgia.
Un’altra condizione piuttosto frequente nel paziente fibromialgico è l’intolleranza verso gli zuccheri a corta catena come fruttosio, saccarosio, lattosio, ecc. La presenza nel lume intestinale di queste molecole non assorbite, oltre a dare fastidiosi sintomi intestinali, impedisce il normale assorbimento del triptofano, limitando quindi, ancora una volta la sua disponibilità per la sintesi della serotonina.
La presenza di fruttosio non assorbito sembra inoltre responsabile del deterioramento del microbioma intestinale e del minore assorbimento di alcuni minerali. Nei pazienti con FMS si riscontrano infatti spesso bassi livelli sierici di molti micronutrienti come magnesio, zinco, calcio, selenio, vitamina B6, vitamina C e acido folico. Alcuni di questi sono importanti co-fattori di enzimi coinvolti nella sintesi della serotonina.
Il primo obiettivo dietoterapico è sicuramente quello di ridurre al minimo la presenza a livello intestinale di molecole che potrebbero limitare l’assorbimento e quindi la biodisponiblità del triptofano. Un recente studio (3) ha infatti dimostrato come una dieta a basso contenuto di FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols) determini un netto miglioramento dei sintomi gastrointestinali e muscolo-scheletrici in ben l’82% dei pazienti affetti da fibromialgia. Secondo tale presupposto sarebbe bene evitare l’assunzione di:
Un altro obiettivo della dieta dovrebbe essere quello di preferire cibi ricchi di vitamine e minerali ad azione antiossidante. I pazienti con fibromialgia infatti producono una quantità di radicali liberi (ROS) pari a 3 volte quella prodotta dai controlli su persone sane.
Sebbene non si è totalmente a conoscenza di come l’elevato stress ossidativo possa determinare la sintomatologia dolorosa, sembra che i radicali liberi danneggino i mitocondri, determinando una riduzione delle specie ad azione anti-ossidante (es. glutatione o GSH). L’elevato stress-ossidativo crea un circolo vizioso di infiammazione perpetua con aggravamento e mantenimento dei sintomi di fatica e dolore. Per tale ragione è bene aumentare il consumo di frutta e verdure di stagione, ricche in vitamine e sostanze antiossidanti.
In ultima analisi si dovrebbero evitare anche tutti quegli alimenti contenti eccito-tossine, ovvero sostanze che possono interferire nella percezione del dolore, esacerbando i sintomi.
Tra le eccito-tossine possiamo sicuramente ricordare alcune sostanze aggiunte in molti alimenti commerciali, come il glutammato monosodico, l’aspartato e l’aspartame. Il glutammato e l’aspartato agiscono da neurotrasmettitori eccitatori, ovvero eccitano in modo prolungato i nervi nocicettivi (coinvolti nella percezione del dolore) sia nel cervello che nella periferia.
Diversi studi hanno dimostrato un legame diretto tra glutammato e dolore cronico (3). Alla luce delle evidenze esposte sebbene l’approccio dieto-terapico sembra efficace nella gestione della sintomatologia dolorosa, la nutrizione riveste solo una parte di un metodo multidimensionale che include oltre alle cure farmacologiche, rimedi non farmacologici come l’attività fisica e tecniche di rilassamento(4).
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