Una caloria non è mai solo una caloria: scopriamo perché

Una caloria non è mai solo una caloria: scopriamo perché
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  • Salute e alimentazione

Quando seguiamo un regime alimentare più sano ed equilibrato, quello a cui pensiamo subito sono il numero di calorie che assumiamo.

In realtà, questa concezione è sbagliata, poiché la riduzione di calorie non è l’unico aspetto che influenza la nostra dieta.

L’obesità dipende più da ciò che mangiamo, che da quanto mangiamo!

In questo articolo vedremo cosa vuol dire ridurre i cibi che favoriscono l’accumulo di grassi, come quelli ad elevato indice glicemico.

Mangiare meno e muoversi di più è la regola base a cui tutti facciamo riferimento quando cerchiamo di perdere peso.

Nonostante queste rimangano indicazioni imprescindibili per ottenere una forma ideale, recenti studi hanno confermato che la chiave del successo di un regime alimentare non sta solo nel mangiare meno. La discriminante è mangiare correttamente evitando i cibi ad alto indice glicemico.

Continua a leggere per scoprire come accelerare il metabolismo e rallentare l’immagazzinamento di grassi.

Lo lotta all’obesità e il modello carboidrati-insulina

In questi anni, le ricerche sull’epidemia di obesità che ha travolto il mondo moderno, sono innumerevoli, ma non tutte allineate tra di loro. Le convenzionali diete ipocaloriche continuano a mancare di efficacia soprattutto in relazione al lungo termine.

In questo contesto, è emerso uno studio firmato da un team di 17 ricercatori, pubblicato dall’American Journal of Clinical Nutrition. La proposta di questa ricerca è quella di abbandonare il modello del cosiddetto bilancio energetico, a favore di un’attenzione maggiore sui processi metabolici.

Il messaggio di fondo è “quello che si mangia è più importante di quanto si mangia”.

Quello descritto dallo studio è il modello carboidrati-insulina (CIM), secondo il quale i nostri chili di troppo dipendono dai cibi ricchi di carboidrati raffinati e facilmente digeribili.

In pratica, quando assumiamo questi alimenti, il nostro corpo aumenta la secrezione di insulina e sopprime la secrezione di glucagone. Di conseguenza le cellule di grasso iniziano a immagazzinare più calorie, che vengono così tolte al lavoro dei muscoli e ad altri tessuti attivi dal punto di vista metabolico.

Attraverso questo processo, il nostro cervello percepisce che non sta ricevendo una dose adeguata di energia, per questo rallenta il metabolismo e ci fa avvertire una sensazione di fame.

In attesa di studi definitivi sul lungo periodo, i principi di una dieta a basso carico glicemico offrono un’alternativa pratica al classico assunto della limitazione delle calorie.

Quali sono gli alimenti ad alto carico glicemico

Gli alimenti che contribuiscono all’accumulo di grassi, quindi ad alto carico glicemico includono:

  • Cereali lavorati;
  • Prodotti a base di patate;
  • Alimenti con alto contenuto di zucchero libero.

Un carico glicemico moderato o basso si trova, invece:

  • Nella frutta fresca;
  • Nei cereali poco lavorati;
  • Nei legumi;
  • Nelle noci;
  • Nelle verdure non amidacee.

Infine, gli alimenti che non hanno impatto sulla glicemia con un carico glicemico pari a zero:

  • I grassi;
  • Le proteine.

Come si nota, l’adozione del modello carboidrati-insulina rispetto a quello del bilancio energetico comporta un cambiamento radicale nelle strategia di trattamento dell’obesità patologica.

Secondo il nuovo modello, concentrarsi su ciò che si mangia, invece che sul quanto, sarà la risposta del futuro per perdere peso con meno fatica.

Quali sono le raccomandazioni dietetiche basate sul modello carboidrati-insulina?

Per anni il modello del bilancio energetico è stato il riferimento incontrastato alla lotta dell’obesità. Tuttavia, nonostante, la riduzione dell’apporto calorico e l’aumento del dispendio energetico, i tassi di obesità rimangono alti.

Il modello tradizionale non riesce a fornire una spiegazione soddisfacente sulla diffusione dell’obesità, al di là delle difficoltà soggettive delle persone.

Il modello carboidrati-insulina, sottolinea che, sebbene molti fattori influenzano le cellule adipose, l’insulina esercita un controllo anabolico dominante.

Ecco quali sono le raccomandazioni dietetiche del modello CIM:

  • Ridurre i cereali raffinati, i prodotti a base di patate e gli zuccheri aggiunti: carboidrati ad alto GL con bassa qualità nutrizionale complessiva;
  • Enfatizzare i carboidrati a basso indice glicemico, comprese le verdure non amidacee, i legumi e la frutta intera non tropicale;
  • Quando si consumano prodotti a base di cereali, scegliere il chicco intero o alternative lavorate tradizionalmente (ad es. orzo intero, quinoa, pasta madre tradizionalmente fermentata a base di farina macinata a pietra);
  • Aumentare il consumo noci, semi, avocado, olio d’oliva e altri cibi salutari ad alto contenuto di grassi;
  • Mantenere un adeguato, ma non elevato, apporto di proteine, anche di origine vegetale;
  • Ridurre la potenziale esposizione a sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino (p. es., con l’uso di un filtro per l’acqua e contenitori di vetro anziché di plastica per la conservazione degli alimenti ed evitare additivi alimentari potenzialmente “obesogeni”).

Per le persone con grave insulino resistenza, sindrome metabolica o diabete di tipo 2 le indicazione del modello CIM prevedono una limitazione nell’assunzione totale dei carboidrati e la sostituzione dei grassi alimentari.

In definitiva, la validità di due modelli, porta a divisioni e contraddizioni. Gli scienziati raccomandano una collaborazione tra studiosi delle diverse correnti per testare una ricerca imparziale.

In ogni caso, adottare un regime alimentare sano e praticare attività fisica costante, restano le prime prime opzioni di trattamento dei soggetti in sovrappeso. Inoltre un elemento mette d’accordo tutte le correnti è la necessità di ridurre il consumo di alimenti trasformati, valorizzando invece verdure crude e frutta fresca.

Fonte: Ludwig DS, Ebbeling CB. The Carbohydrate-Insulin Model of Obesity: Beyond “Calories In, Calories Out”. JAMA Intern Med. 2018;178(8):1098-1103. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6082688/