Quanto conta l’alimentazione nella cura della fibromialgia?
Ad oggi non c’è ancora una terapia risolutiva per la sindrome fibromialgica. Tuttavia, questa patologia che colpisce soprattutto le donne, si può tenere sotto controllo proprio attraverso un attento regime alimentare.
Riconosciuta come patologia reumatica dall’American College of Rheumatology (ACR) solo nel 1990, la fibromialgia (FM) è una malattia cronica non degenerativa caratterizzata da dolore diffuso in tutto il corpo.
Chi ne soffre percepisce gli stimoli del dolore anche al semplice contatto in più punti dell’apparato muscolo-scheletrico (i cd. tender points). Accanto al dolore eccessivo, si registrano anche affaticamento, debolezza cronica, disturbi cognitivi, dell’umore e del sonno.
La sindrome fibromialgica (FMS) colpisce dal 2 al 4% circa della popolazione mondiale. Alcuni studi condotti sulla popolazione italiana stimano la prevalenza di tale patologia nel nostro paese di circa il 2%, con un rapporto donna-uomo di 3:1.
Le donne, dunque, sono le più colpite dalla fibromialgia la cui comparsa avviene generalmente in età adulta (tra i 35-45 anni), ma non è escluso un esordio precoce in età adolescenziale.
Le cause non sono del tutto chiare, al momento, e diverse sono le ipotesi in ballo. C’è chi sostiene possa comparire dopo una malattia o un trauma psicofisico. Chi, invece, imputa come causa principale la predisposizione genetica.
Nonostante non esista un’eziologia precisa della malattia, l’idea di fondo è che vi siano numerosi fattori critici coinvolti nella sua insorgenza:
- Anomalie del sistema neurobiologico (in particolare della neurotrasmissione di serotonina e dopamina, fondamentali nell’elaborazione del dolore);
- Componenti psicologiche (ansia, stress, traumi, depressione);
- Predisposizione genetica (in particolare la mutazione del gene COMT coinvolto nella sensibilità al dolore);
- Fattori ambientali (traumi da incidente, malattie virali, obesità, parto e operazioni chirurgiche in generale);
- Comorbilità di patologie reumatiche (come artrite reumatoide, lupus eritematoso ecc…);
- Intolleranze alimentari (come quella al glutine o agli zuccheri a catena corta, fruttosio e saccarosio);
- Disbiosi intestinale;
- Deficit di vitamine (in particolare della Vitamina D);
- Malnutrizione proteica.
La patogenesi multifattoriale ha reso difficile arrivare a una cura risolutiva della malattia. Recenti linee guida suggeriscono un approccio multidisciplinare alla fibromialgia, combinando trattamenti farmacologici e non farmacologici.
In quest’ultima categoria rientra la terapia nutrizionale che – come dimostrerebbero alcuni studi sistematici – si è rivelata particolarmente promettente nella gestione e nel miglioramento della sintomatologia.
Ma perché nel trattamento della fibromialgia una dieta corretta è così rilevante? Scopriamolo insieme nei prossimi paragrafi.
Perché la cura della fibromialgia passa dall’alimentazione
Fibromialgia e alimentazione sono strettamente connesse. In diversi pazienti affetti da questa patologia, infatti, è stato riscontrato uno squilibrio dei componenti dietetici.
Carenze alimentari, spesso associate a condizioni di disbiosi intestinale, potrebbero svolgere quindi un ruolo critico nello sviluppo della FM.
In alcuni pazienti fibromialgici sono state osservate carenze di
- Minerali (ferro, selenio, zinco, magnesio);
- Vitamine (Vitamina D e B12, Triptofano);
- Acidi Grassi Polinsaturi (Omega 3);
- Coenzima Q10;
- Ferritina.
Bassi livelli di vitamina B12 incidono sul senso di stanchezza cronica e sulla diminuzione dell’attenzione dei pazienti con fibromialgia. La carenza di vitamina D invece si associa anche a uno scarso assorbimento del magnesio.
Livelli ridotti di magnesio causano l’aumento di citochine pro-infiammatorie circolanti, esacerbando i sintomi del paziente fibromialgico.
Selenio, zinco, ferro, ferritina, coenzima q10 e triptofano (vitamina B6) sono implicati a vario livello in diversi percorsi metabolici. Una loro carenza può interferire con quei processi coinvolti nell’insorgenza della FM.
Prendiamo come esempio il triptofano, un aminoacido essenziale precursore della serotonina (che è a sua volta precursore della melatonina, l’ormone del sonno) e della chinurenina. La prima è coinvolta nella modulazione dell’umore, la seconda in quella del dolore.
La maggior parte del triptofano (95%) viene impiegato dall’organismo nella sintesi della chinurenina. Se i livelli sierici di questa sostanza sono bassi, tutta la sua disponibilità sarà utilizzata per la sintesi della chinurenina a discapito della serotonina.
La conseguenza sarà una ridotta tollerabilità del dolore. Dal momento che l’enzima che controlla il TRP nella sintesi della chinurenina è influenzato dagli estrogeni, si spiega anche perché la fibromialgia è più frequente nelle donne e con dolore più intenso.
La carenza di triptofano oltre ad essere coinvolta nella fibromialgia, può determinare anche un’alterazione della barriera intestinale e predisporre a patologie intestinali di tipo infiammatorio.
Un’infiammazione dovuta, ad esempio, a intolleranze alimentari al glutine o ai zuccheri a catena corta (lattosio, fruttosio, saccarosio), talvolta riscontrate nei pazienti fibromialgici, si ripercuotono sulla salute del macrobiota intestinale, causando uno squilibrio della flora batterica.
Gli effetti di una mucosa intestinale infiammata possono causare sindrome da colon irritabile, gonfiore addominale, malnutrizione e in generale un peggioramento dei dolori muscolo-scheletrici.
Un intestino poco sano può incidere nella carenza di quegli elementi nutrizionali coinvolti nella sintomatologia della sindrome fibromialgica, creando un circolo vizioso potenzialmente pericoloso.
Dunque, la prima cosa da fare è aver cura del microbiota intestinale ripristinando la corretta composizione della flora batterica e proteggendo le mucose. In che modo un intestino che funziona con regolarità può essere un alleato per i pazienti affetti da fibromialgia?
- Consente di assorbire i nutrienti assunti con il cibo;
- Scongiura carenze alimentari;
- Riduce i disturbi enterici;
- Migliora la resistenza alla stanchezza;
- Diminuisce la sensibilità al dolore;
- Migliora attenzione cognitiva e qualità del sonno.
L’importanza dell’alimentazione per la fibromialgia si traduce quindi in un corretto stile alimentare che apporti tutti quei nutrienti essenziali al funzionamento dell’organismo e alla salute gastrointestinale.
Cerchiamo allora di capire come debba essere una valida dieta per gestire e ridurre i sintomi associati alla fibromialgia.
Qual è la dieta consigliata per la fibromialgia
Innanzitutto va chiarito un punto fondamentale: non esiste una specifica dieta per la fibromialgia. Tuttavia, vi sono alcuni accorgimenti nutrizionali benefici nella gestione della patologia e nel miglioramento della qualità di vita del paziente.
Un approccio nutrizionale efficace nel trattamento della fibromialgia si basa innanzitutto sull’esclusione di alimenti vietati e sull’introduzione nella dieta quotidiana di cibi dalle proprietà benefiche.
Per tutti i pazienti che soffrono di fibromialgia, infatti, gli alimenti da evitare sono soprattutto quelli contenenti zuccheri raffinati e semplici (saccarosio e fruttosio), aspartame.
Nel trattamento della fibromialgia sono alimenti vietati anche glutammato, solanacee (pomodori, patate, melanzane e peperoni), caffeina e grassi saturi. Alcuni individui fibromialgici sembrerebbero peggiorare anche con l’assunzione di glutine, caseina, lattosio
Viene naturale chiedersi a questo punto, in caso di fibromialgia, cosa è opportuno mangiare? Ecco un elenco di alcuni cibi consentiti:
- Alimenti ricchi di antiossidanti (frutta di stagione, frutti rossi, verdure in foglia e crucifere);
- Cereali integrali (avena decorticata, riso integrale, quinoa, amaranto, grano saraceno);
- Carne bianca e pesce azzurro, ricco di Omega 3;
- Semi oleosi e frutta a guscio (semi di lino, di chia, mandorle e noci ricche di Triptofano);
- Grassi monoinsaturi (olio di oliva, avocado ecc..);
- Probiotici;
- Legumi decorticati (soprattutto lenticchie);
- Latte vegetale (mandorla, cocco, nocciola).
In linea generale, la fibromialgia è una patologia che implica un corretto stile di vita, che si traduce in un controllo del peso corporeo.
Obesità e sovrappeso si associano a stati infiammatori cronici dell’organismo, che incidono negativamente sulla sensibilità al dolore, condizione deleteria per i pazienti fibromialgici.
L’eccesso ponderale poi si lega frequentemente anche a insulino-resistenza, ipertensione e alti livelli di colesterolo, che contribuiscono a peggiorare la qualità della vita del paziente fibromialgico.
Senza contare che l’eccesso di tessuto adiposo determina una carenza di Vitamina D che, come spiegato in precedenza, è coinvolta nella cronicizzazione del dolore.
Lo studio intitolato “Effetto della riduzione del peso sulla qualità della vita nei pazienti obesi con sindrome fibromialgica” ha evidenziato come la perdita di peso nei pazienti obesi con FMS abbia portato a un miglioramento significativo della qualità della vita complessiva, suggerendo così che il controllo del peso debba essere parte del trattamento della fibromialgia.
La Dieta chetogenica può aiutare nella cura per la fibromialgia?
Il collegamento tra eccesso di grasso e stati infiammatori associati a un aumento del dolore, suggerirebbero l’efficacia di una dieta dal potenziale antinfiammatorio, anche per trattare e migliorare il dolore del fibromialgico.
In tal senso la dieta chetogenica potrebbe essere indicata nella gestione della fibromialgia poiché si basa su un rapporto di: 80% grassi, 20% proteine e 20% carboidrati. Questo particolare schema alimentare favorisce il rilascio dei chetoni, essenziali a fornire energia all’organismo e, al contempo, ridurre l’infiammazione.
Studi dimostrano che un regime alimentare a basso contenuto di carboidrati e zuccheri, e ad alto contenuto di proteine e grassi sani (VLCHF) aiuta a ridurre i biomarcatori dell’infiammazione in individui sani.
Questo effetto potrebbe rivelarsi particolarmente utile anche nel migliorare la condizione di chi soffre di fibromialgia perchè la dieta chetogenica aiuta anche a:
- Controllare il peso corporeo;
- Contrastare la disbiosi intestinale e favorire la flora batterica benefica;
- Migliorare il metabolismo energetico;
- Ridurre lo stress ossidativo.
L’equilibrio precario tra alimentazione e fibromialgia però richiede sempre l’intervento di un professionista della nutrizione. In particolare, il protocollo chetogenico necessita di competenze atte a stabilire un percorso terapeutico nutrizionale specifico per il singolo caso.
Fonti
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