Al giorno d’oggi l’insufficienza renale cronica costituisce una sfida clinica piuttosto impegnativa per la salute pubblica globale. Si tratta, infatti, di una patologia che registra una crescente incidenza non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo.
A peggiorare il quadro della situazione sono le attuali opzioni terapeutiche che spesso si rivelano scarse e inefficaci nell’arginare la progressione della malattia verso uno stadio di insufficienza renale grave.
Ma quali sono i fattori di rischio universalmente riconosciuti come responsabili della progressione verso uno stadio terminale della patologia?
La letteratura scientifica si concentra soprattutto su:
- Età;
- Pressione arteriosa;
- Diabete;
- Dislipidemia (ovvero l’alterazione della quantità di lipidi nel sangue, soprattutto trigliceridi e colesterolo);
- Fumo.
Tuttavia, alcuni studi hanno evidenziato l’importanza di un ulteriore fattore rappresentato dall’iperomocisteinemia.
Livelli elevati di omocisteina – circa 3-4 volte superiore a quelli considerati normali – sono stati riscontrati in soggetti che presentano una disfunzione renale cronica, sebbene non sia ancora del tutto chiaro il legame tra essa e il danno renale.
In questo articolo cercherò di fare il punto sulle evidenze cliniche e sperimentali che riguardano il ruolo dell’omocisteina nella progressione dell’insufficienza renale e anche di una possibile cura dei sintomi attraverso un’alimentazione bilanciata.
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Disfunzione renale cronica: cause e sintomi
Le disfunzioni renali croniche costituiscono una lenta e progressiva riduzione della funzionalità dei reni nel fungere da filtro delle scorie metaboliche presenti nel sangue.
I reni, infatti, sono gli organi deputati a filtrare le sostanze di scarto e i fluidi in eccesso nel sangue, che vengono poi eliminati tramite l’urina.
Quando sono danneggiati viene compromessa significativamente la loro capacità filtrante, pertanto prodotti del metabolismo, elettroliti e acqua in eccesso si accumulano, creando di fatto una condizione “tossica” per l’organismo.
I segnali e i sintomi dell’insufficienza renale possono comprendere:
- Affaticamento e stato confusionale;
- Nausea;
- Spasmi e crampi muscolari;
- Inappetenza;
- Gonfiore di braccia e gambe (ritenzione idrica);
- Aumento della pressione arteriosa;
- Disturbi del sonno e dell’umore;
- Edema polmonare e pericardite.
Le cause di insufficienza renale possono essere varie. Alla base della disfunzione dei reni ci sono di solito alcune malattie in particolare, come ad esempio:
- Diabete, sia di tipo 1 che di tipo 2;
- Ipertensione;
- Glomerulonefrite;
- Nefrite Interstiziale;
- Rene policistico;
- Calcolosi.
Come detto poc’anzi, diabete e ipertensione rappresentano due importanti fattori di rischio responsabili della progressione della patologia cronica verso uno stadio terminale. Tuttavia non sono gli unici.
Tra gli altri fattori da valutare, infatti, c’è l’omocisteina (Hcy) un aminoacido non proteico, prodotto intermedio del metabolismo della metionina, che è a sua volta un aminoacido solforato essenziale introdotto nell’organismo attraverso l’alimentazione.
L’omocisteina è un aminoacido importante per l’organismo perché associata alla produzione delle vitamine B6, B9, B12 e dei folati, ma anche di alcuni antiossidanti essenziali come il glutatione.
Il metabolismo dell’omocisteina è regolato dall’attività delle vitamine del gruppo B e da alcuni enzimi, ovvero il metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR) e la metionina sintetasi (MAT). L’equilibrio di questo ciclo mantiene una corretta concentrazione di omocisteina nel plasma (circa 5-15 μmoli/L).
Laddove vi sia una carenza dei cofattori vitaminici o una mutazione dell’enzima MTHFR si può verificare una condizione di iperomocisteinemia (HHcy), ossia una concentrazione troppo elevata nel plasma di omocisteina, maggiore di 12 µmol/L.
Ma in che modo elevati valori di omocisteina possono impattare sul malfunzionamento cronico dei reni? Ne parlerò meglio nel prossimo paragrafo.
La patogenesi dell’Iperomocisteinemia nella sofferenza renale cronica
Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) un valore ematico fino a 13 µmoli/l di omocisteina è considerato nella norma. Dunque, i livelli di concentrazione da attenzionare sono quelli superiori a:
- 13 µmoli/l negli uomini adulti;
- 10,1 µmoli/l per le donne;
- 11,3 µmoli/l nei ragazzi di età inferiore ai 14 anni.
Il livello di sicurezza aumenta di 3-5 volte nella grave insufficienza renale cronica (valori >28 μmol/L).
Gran parte degli studi che si sono occupati del ruolo dell’omocisteina nella malattia renale cronica hanno mostrato una correlazione tra i livelli plasmatici dell’aminoacido e le concentrazioni di creatinina.
I valori della Velocità di Filtrazione Glomerulare (GFR – valore che misura la funzionalità del rene o lo stadio della malattia renale) risulterebbero costantemente e inversamente correlati ai livelli plasmatici di omocisteina. Questa relazione è dunque la prova indiretta che elevati valori di omocisteina sono intimamente legati alla funzione renale.
La relazione tra omocisteina plasmatica e GFR suggerisce anche che l’aminoacido verrebbe eliminato dal corpo dall’escrezione urinaria dopo la filtrazione glomerulare, proprio come la creatinina.
Chiarito che un livello elevato di Omocisteina è associato alla malattia renale, viene da porsi un’ulteriore domanda: “Quanto l’iperomocisteinemia sia un fattore di rischio indipendente di malattia renale cronica?”.
Prendo come esempio uno studio di coorte del 2004 condotto su una popolazione di 1.477 individui giapponesi senza insufficienza renale.
Dopo un follow-up di 5 anni, mantenendo stabili tutti gli altri fattori di rischio, 88 soggetti hanno manifestato l’insufficienza renale cronica, con livelli basali di tHcy maggiori negli uomini rispetto alle donne, livelli che apparivano inversamente proporzionali con il tasso di variazione della funzione renale.
Il risultato dello studio è stato che che un livello sierico di tHcy moderatamente elevato è un fattore di rischio significativo per lo sviluppo di CKD nella popolazione generale.
La microalbuminuria è un forte indicatore del rischio di future malattie cardiovascolari e disfunzione renale.
Un marker che studi scientifici hanno associato a un elevato livello di omocisteina. Tuttavia il percorso fisiopatologico che collega il livello di Hcy e il rischio di microalbuminuria è tutt’ora sconosciuto. Così come lo è quello che lega l’iperomocisteinemia all’insufficienza cronica del rene.
Tuttavia, un’ipotesi plausibile porterebbe nella direzione del danneggiamento delle cellule causato da un livello elevato di omocisteina. Questa, infatti, è in grado di agire attraverso diversi meccanismi cellulari e molecolari, come:
- Aumento progressivo dello stress ossidativo delle cellule del rene;
- Stimolazione dell’infiammazione;
- Danneggiamento del reticolo endoplasmatico;
- Ipometilazione
Comprendere questi meccanismi è il primo passo per chiarire ulteriormente la patogenesi dell’insufficienza renale cronica terminale.
Da molti studi che si sono focalizzati sull’abbassamento dell’Hcy in pazienti con insufficienza renale, sembra chiaro che l’acido folico ha l’effetto di ridurre notevolmente il livello plasmatico di omocisteina.
Nel prossimo paragrafo ti illustrerò un possibile approccio nutrizionale mirato a mantenere l’omocisteina entro parametri che non siano dannosi per la salute dell’intero organismo.
Prevenzione e cura per l’insufficienza renale: alimentazione consigliata
Chi soffre di questa patologia renale ha un rischio molto più alto di sviluppare anche malattie cardiovascolari, dal momento che l’omocisteina è da sempre un fattore cruciale in questo tipo di complicanze.
Ciò rende indispensabile non solo controllare periodicamente il valore di omocisteina con un semplice esame del sangue, ma anche agire sulla prevenzione adottando uno stile di vita e alimentare sano ed equilibrato.
Per chi soffre già di patologie renali serie è necessario innanzitutto un trattamento medico, il più delle volte rappresentato dalla dialisi se non addirittura dal trapianto di organo. Tuttavia anche l’adozione di adeguati comportamenti alimentari può essere d’aiuto a rallentare la progressione della patologia.
Tra le conseguenze associate all’insufficienza renale spesso ci sono complicanze cardiovascolari, diabete e ipertensione. Tutte condizioni che affaticano ulteriormente i reni già abbastanza compromessi.
In questi casi, dunque, il consiglio è quello di seguire una dieta povera di proteine, fosforo e di sodio, che preservi il più possibile la funzionalità dell’organo deputato alla depurazione dell’organismo.
Vanno ridotti soprattutto gli alimenti proteici di origine animale (carne, pesce, uova, latticini ecc…) e in misura minore le proteine vegetali (ovvero i legumi). Andranno quindi privilegiati i cibi cosiddetti “aproteici”, come alcuni tipi di carboidrati.
Occorre poi fare molta attenzione al sale da cucina, contenuto in molti alimenti preconfezionati e in grandi quantità, e al fosforo. I valori di questo minerale dovrebbero aggirarsi intorno agli 8-10 mg/Kg di peso corporeo al giorno.
Pertanto sarà necessario eliminare e/o ridurre alimenti quali salumi, frutta secca, legumi, cioccolato, crostacei, tuorlo d’uovo ecc…mentre si potranno consumare in piccole quantità alimenti come latte, yogurt, legumi freschi, pesce e formaggi freschi, che ne contengono piccole quantità. Via libera invece a frutta e verdura fresca.
Anche una dieta chetogenica può essere un approccio nutrizionale valido e non affatto dannoso per chi soffre di una lieve insufficienza renale. Non ci sono infatti evidenze scientifiche che sostengono il contrario.
Anzi, uno studio pubblicato nel gennaio del 2020, dal titolo “Very Low-Calorie Ketogenic Diet: a Safe and Effective Tool for Weight Loss in Patients With Obesity and Mild Kidney Failure” ha dimostrato proprio che le diete chetogeniche a basso contenuto calorico non compromettono la funzione renale.
Pertanto, se condotte sotto la supervisione di esperti, risultano essere sicure ed efficaci in pazienti con patologie renali non gravi.
E per quanto riguarda il controllo dei livelli di omocisteina?
Anche in questo caso una giusta alimentazione può essere un valido aiuto. È dimostrato ormai che una dieta povera di frutta e verdura ma ricca di cibi di origine animale è tra le cause dell’iperomocisteinemia, al contrario l’assunzione di folati e vitamine B6 e B12 è una valida abitudine preventiva all’accumulo di questa sostanza nel plasma.
Cosa mangiare allora per abbassarne le concentrazioni plasmatiche? Serve una dieta sana, bilanciata e il più possibile completa dei macronutrienti essenziali. Nell’alimentazione quotidiana dunque non dovrebbero mai mancare:
- Frutta secca;
- Ortaggi;
- Verdura a foglia verde (broccoli; bieta, spinaci, lattuga, iceberg, valerianella e altre varietà di insalata a foglia verde);
- Funghi;
- Cereali integrali (avena, segale, farro, orzo, riso integrali);
- Frutta;
- Salmone, sgombro e pesce azzurro fresco (almeno 3 volte a settimana);
- Uova;
- Legumi (almeno un paio di volte a settimana);
- Carne bianca, da preferire a quella rossa;
- Grassi mono o polinsaturi (olio di oliva e alcuni oli di semi), evitando assolutamente quelli saturi.
I livelli di assunzione giornalieri consigliati di acido folico sono circa 200-1000 mcg/die. Per raggiungere i livelli minimi basterebbero almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno. L’importante però è fare anche attenzione al metodo di cottura: meglio crude o cotte al vapore per poter preservare meglio tutte le proprietà essenziali.
Acido Folico e vitamine del gruppo B, infatti, sono molecole idrosolubili e termolabili, perciò particolarmente sensibili al calore e all’acqua.
Sia che tu soffra di insufficienza renale cronica o abbia riscontrato alti livelli di omocisteina nel sangue rivolgiti a un esperto nutrizionista, che saprà indirizzarti verso il migliore percorso alimentare per le tue esigenze di salute.
Fonti
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